di Palma Grano
La vera sfida del G20 Sociale è quella di trasformarsi in uno spazio che ascolti e amplifichi le istanze delle comunità e delle popolazioni spesso marginalizzate. Ma la politica della gestione del debito delle potenze del G7 e delle istituzioni finanziarie internazionali resta invariata. La problematica dei senzatetto coinvolge oltre 4,9 milioni di persone nel Sud Globale. Le grandi istituzioni internazionali strumentalizzano le cause indigene senza però intraprendere azioni efficaci per proteggere i loro diritti e le loro terre.
Tra il 14 e il 16 novembre 2024 si svolge a Rio de Janeiro il primo vertice sociale del G20, una piattaforma parallela al G20 voluta dal governo brasiliano di Luiz Inácio Lula da Silva. Questa iniziativa ha come obiettivo quello di coinvolgere la società civile in un dibattito ufficiale accanto ai leader del G20, portando così l’attenzione su temi di giustizia sociale, sostenibilità e governance mondiale. In un contesto globale in cui le crisi sociali e ambientali si moltiplicano, questo primo “G20 Sociale” ha aperto una nuova strada, formalizzando la partecipazione di movimenti sociali, organizzazioni e attivisti da tutto il mondo. Ma la domanda centrale è se questa iniziativa rappresenti davvero un’apertura verso un cambiamento strutturale o sia solo una mossa simbolica, volta a dare una parvenza di inclusività a un organismo spesso percepito come al servizio delle grandi potenze economiche.
Il G20 è da tempo criticato come un vertice che si limita a salvaguardare gli interessi dei paesi più potenti, offrendo solo risposte di facciata alle crisi globali. La vera sfida del G20 Sociale, quindi, è quella di trasformarsi in uno spazio che ascolti e amplifichi le istanze delle comunità e delle popolazioni spesso marginalizzate. Per approfondire questo aspetto, sono stati intervistati Claudia Uribe, ex ambasciatrice colombiana presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e esperta di multilateralismo, Flavio Lino, responsabile del Movimento Nazionale delle Persone Senza Dimora in Brasile, e Mônica Lima Mura, attivista indigena, biologa e docente presso l’Università Statale di Rio de Janeiro. Le loro prospettive forniscono un quadro complesso di speranze, aspettative e scetticismo rispetto a questa nuova iniziativa.
La visione di Claudia Uribe: una speranza disillusa nel multilateralismo
Claudia Uribe, con anni di esperienza nelle istituzioni internazionali, osserva che il multilateralismo attraversa una crisi profonda, tanto che “sono ormai pochi quelli che vi credono davvero”. La Uribe esprime un misto di desiderio e pragmatismo, dichiarando: “Come latinoamericana, mi auguro che il vertice del G20 a Rio de Janeiro possa generare risultati positivi, un po’ come accadde per il Summit della Terra del 1992. Ma tra desiderio e realtà c’è una grande distanza”. A suo avviso, le speranze di un reale cambiamento restano ridotte. Il G20 in Brasile difficilmente riuscirà a imprimere una svolta concreta nelle dinamiche di potere internazionali.
Secondo Uribe, temi cruciali come la pace e la guerra continuano a essere trattati in modo retorico, senza mai arrivare a conclusioni vincolanti. “Ad esempio,” prosegue Uribe, “il Brasile ha promosso il suo ingresso nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma in quanto paese del Sud Globale dovrà ancora attendere per ottenere un seggio permanente in questo organismo chiave della governance mondiale”. Uribe sottolinea che le istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, rimangono sotto l’influenza delle potenze del G7 e della Cina, e la loro politica di gestione del debito resta invariata. “Finché gli Stati Uniti non cambieranno la loro posizione sui debitori, anche gli altri partner resteranno fermi,” aggiunge. La struttura della governance globale, quindi, appare rigida e resistente a ogni cambiamento che possa realmente favorire i paesi in via di sviluppo.
Uribe ricorda che il vertice del G20 a Rio si colloca subito dopo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Summit dei BRICS e la fallita Cumbre del Futuro, entrambe prive di accordi sostanziali: “Le strutture della governance mondiale restano immutate, e la preoccupazione per le sfide del Sud Globale sembra fermarsi a dichiarazioni di principio, senza mai tradursi in azioni concrete”. Secondo Uribe, anche se il Brasile e alcuni suoi partner del Mercosur e dell’Unione Africana cercano di far sentire la loro voce, le grandi potenze sembrano ascoltare solo marginalmente.
Flavio Lino e i diritti dei senzatetto: una piaga globale in crescita
Tra i rappresentanti della società civile presenti al G20 Sociale, Flavio Lino ha portato la sua testimonianza come responsabile del Movimento Nazionale delle Persone Senza Dimora. “Il fenomeno dei senzatetto,” spiega Lino, “non è una questione limitata al Sud Globale. Si tratta di una piaga diffusa anche nei paesi del Nord: gli Stati Uniti contano oltre 580.000 senzatetto, la Francia circa 300.000 e la Germania 262.600”. Questa problematica, che coinvolge oltre 4,9 milioni di persone nel Sud Globale, secondo Lino richiede una risposta coordinata e internazionale. Inoltre afferma la difficoltà nel trovare i dati reali. In Brasile, per esempio, sono dichiarate 250.000 persone senza dimora, mentre le stime mostrano che sono oltre 500.000 i senzatetto. Se poi aggiungiamo altre categorie come le persone rifugiate o I lavoratori informali, i numeri aumentano vertiginosamente.
Lino sottolinea che la povertà e l’assenza di un’abitazione adeguata non sono solo problemi legati allo sviluppo economico, ma sono anche il risultato di politiche pubbliche inadeguate e di una distribuzione diseguale delle risorse. Propone quindi la creazione di un fondo internazionale dedicato ai senzatetto e suggerisce che questa tematica venga inclusa tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. “Non possiamo ignorare il fatto che la povertà e l’ineguaglianza non si risolveranno da sole,” afferma Lino. Tuttavia, il governo brasiliano, dopo la consegna, di Lino al Ministro Haddad, di un documento con queste raccomandazioni della società civile, ha scelto di posticipare qualsiasi iniziativa in merito al G20 del 2025 in Sudafrica. Questa scelta, a detta di Lino, appare contraddittoria e poco comprensibile, considerando che Rio de Janeiro è la seconda città brasiliana per numero di persone senza dimora.
La proposta riflette un desiderio di azioni concrete, ma evidenzia anche una mancanza di volontà politica per affrontare una questione che affligge milioni di persone. La sua voce, come quella di molti altri rappresentanti della società civile, rischia di restare inascoltata o ridotta a una mera espressione di buone intenzioni.
Mônica Lima Mura e la voce dei popoli indigeni:
una lotta per la sopravvivenza e il riconoscimento
Mônica Lima Mura, biologa, docente e attivista indigena, ha portato al G20 Sociale la voce delle comunità indigene, spesso escluse dai tavoli decisionali su temi cruciali come la sostenibilità ambientale e il cambiamento climatico. “La presenza indigena nel G20 Sociale rappresenta un’opportunità per rivendicare i nostri diritti e denunciare le politiche anti-indigene in Brasile,” spiega Mura. Nonostante la visibilità che Rio offre, Mura esprime preoccupazione sul fatto che queste voci possano davvero essere ascoltate dai leader globali. “Abbiamo una lunga storia di lotte per la terra e per la nostra sopravvivenza, ma spesso le nostre richieste vengono strumentalizzate e ridotte a slogan”.
La partecipazione indigena è cruciale in questioni come la conservazione delle foreste e la protezione della biodiversità. Per Mura, la distruzione dell’Amazzonia e la crisi climatica globale sono tematiche strettamente collegate alle vite delle popolazioni indigene e alla loro capacità di preservare territori ancestrali. Tuttavia, anche in questo caso, le speranze di Mura sono accompagnate da un senso di scetticismo: “Non c’è garanzia che queste istanze troveranno spazio nelle discussioni principali del G20, né tantomeno che si traducano in azioni concrete”.
Mura sottolinea l’importanza della presenza indigena non solo come testimone, ma come attore fondamentale nella definizione delle politiche globali sull’ambiente. “Abbiamo una conoscenza ancestrale della natura che potrebbe contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico, ma senza una volontà reale di ascolto da parte delle potenze economiche, rischiamo di essere ridotti a semplici figuranti”. La sua critica si estende alle grandi istituzioni internazionali, spesso accusate di strumentalizzare le cause indigene senza però intraprendere azioni efficaci per proteggere i loro diritti e le loro terre.
Un cambio di paradigma o una vetrina?
Il G20 Sociale rappresenta senza dubbio un primo passo verso un coinvolgimento formale della società civile nelle dinamiche decisionali globali, ma resta il dubbio se questa iniziativa si tradurrà in cambiamenti concreti o se si limiterà a una funzione di vetrina. La partecipazione di rappresentanti delle comunità indigene, dei senzatetto e di altri gruppi sociali marginalizzati ha certamente dato voce a problematiche urgenti e spesso ignorate nei vertici internazionali tradizionali. Tuttavia, senza una reale apertura al dialogo, le loro voci rischiano di essere relegate a delle semplici espressioni di buona volontà. Affaire à suivre…