E’ necessario riconsiderare il rapporto con la tradizione, la frattura con il passato non porta ad una società superiore, ma all’anomia e infine alla dissoluzione sociale.
In Marx l’opposizione al Capitale è inserita in una visione progressiva della storia. Il dominio del Capitale è un male, e deve essere superato, tuttavia è un male, che similmente al Mefistofele goethiano, finisce per operare il bene, ovvero crea le condizioni per un nuovo tipo di società superiore. Non solo è lo strumento per la creazione di quella accumulazione della ricchezza che è un presupposto fondamentale per la fine della «vecchia merda», ovvero lo sviluppo della ricchezza che avrebbe liberato gli esseri umani dal bisogno, che era la forza più potente che riconduceva le società al dominio e allo sfruttamento. Inoltre il dominio dell’accumulazione del capitale mette fine a tutti quei vincoli personali tradizionali che sono di ostacolo al nascere di una società futura. Secondo Il Manifesto del partito comunista, il Capitale «ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche.
La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi.
La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro».
Inoltre: «I bassi prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza».
Tuttavia esiste un’opposizione al capitalismo che appartiene alla tradizione. Aristotele è il primo grande oppositore dell’accumulazione per l’accumulazione per la dismisura che vi è insita. Il cristianesimo, tanto quello cristiano che ortodosso, vieta l’usura, vietata è l’usura è ancora oggi nelle società islamiche. La Divina Commedia dantesca è la protesta contro la nascita del capitalismo dal punto di vista della tradizione, che assomma tanto Aristotele quanto il cristianesimo. Il motivo per cui le società tradizionali si oppongono alla brama individuale di accumulazione è nel carattere dissolutivo di questo istinto quando ad esso viene dato libero corso. Come accadde nelle città italiane del 1300 che si ritagliarono uno spazio di libertà tra Papato e Impero, ma fu la libertà di dare libero corso alla brama individuale. Grazie a questa «accumulazione primitiva» che divenne necessaria ai successivi stati per finanziare gli eserciti, questo principio si impadronì di tutti gli stati europei (vedi il mio saggio “Il mondo multipolare e il pensiero marxista”). In seguito a causa della potenza generata dall’accumulazione di ricchezza questo modello si è diffuso in tutto il mondo. Infine anche a Cina e Russia hanno dovuto dare libro corso alla brama individuale. «Arricchitevi!» Come disse Bucharin in occasione della Nep lanciata da Lenin.
Scriveva Edoardo Sanguineti nel libro Dante reazionario: «il lungo furore circa la lupa e quel maledetto fiore del fiorino è il più grosso e robusto credo di orrore che si sia levato di fronte ai facili trionfi dei banchieri e dei mercanti fiorentini, ormai complici di una chiesa economicamente bene aggiornata: un grido che è paragonabile soltanto, se accettiamo un duro ma illuminante anacronismo, con gli alti clamori dei grandi scrittori europei della restaurazione ottocentesca, strepitanti di fronte alle facili vittorie del capitalismo industriale, nazionale e internazionale, o diciamo addirittura con le aspre querele del non a caso fascisteggiante Pound, deplorante che “with usura, sin against nature”».
Non era il fatto singolare che un autore «reazionario» possa dar vita ad una critica del capitalismo, fatto già assodato nel marxismo, ad es. Marx fu un grande ammiratore di Balzac che politicamente fu un realista. Vi era il riconoscimento da parte di Sanguineti che esiste una opposizione al Capitale che deriva da una visione della vita tradizionale, diversa rispetto al pensiero progressista, che può essere di interesse anche a chi appartiene ad una diversa tradizione di pensiero, quale quella comunista. Come risulta da questa intervista:
SANGUINETI Non ho fiducia negli intellettuali cosiddetti di sinistra. E la destra non sta meglio. Se vogliamo sapere cosa sia il capitalismo è meglio leggersi Pound o Céline che Baudrillard.
GNOLI Molti ancora prendono Pound con le molle.
SANGUINETI E fanno male. La diagnosi del mondo moderno è straordinaria. Come quella di Eliot che da anglo-cattolico reazionario ha in orrore città infernali come Londra. Leggerli è molto appassionante.
(Edoardo Sanguineti, Sanguineti’s song: conversazioni immorali).
Da qui l’interesse verso la poesia di Pound, in merito al quale si trovava d’accordo con Pasolini, con in il quale fu impegnato, per il resto, in una lunga ma produttivi polemica. Quel Pound che nel canto «contro l’usura» ha espresso nel modo più incisivo il punto di vista tradizionalista contro il Capitale, poesia di cui Sanguineti aveva ripreso alcuni brani in “Laborintus”. Pasolini dal canto suo, con l’intento di scandalizzare il benpensante progressista, professava di essere un reazionario: «Io sono una forza del Passato/Solo nella tradizione è il mio amore».
Oggi, se da una parte le altre civiltà mondiali hanno dovuto, per far fronte all’espansione occidentale, adottarne i principi capitalistici, allo stesso tempo vediamo che l’identità storica, derivante dall’appartenenza a civiltà diverse rispetto a quella occidentale, ha giocato un ruolo fondamentale rispetto al tentativo di imporre un unico modello, quello occidentale. Questa identità si conserva attraverso la continuità con il passato, cioè la tradizione. Mentre, l’alchimia dialettica di trasformare il male in bene non ha funzionato.
Ritengo sia necessario riconsiderare il rapporto con la tradizione, la frattura con il passato (nella quale noi viviamo) non porta ad una società superiore, ma all’anomia e infine alla dissoluzione sociale. Ma dobbiamo evitare il tradizionalismo che è il dominio del passato sul presente, il dominio di ciò che è morto su ciò che è vivo, ovvero quando le mort saisit le vif, mentre la tradizione è un fuoco che deve essere mantenuto vivo.