Intervista di Luigi Tedeschi a Marco Della Luna, autore del libro “Oligarchia per popoli superflui” Aurora Boreale 2018, pagg. 320 € 20,00
1) Nel tuo libro si manifesta esplicitamente un profondo scetticismo riguardo alla reale possibilità di sussistenza di un ordinamento democratico. Infatti nel governo reale degli stati si impone sempre una oligarchia, con la falsa legittimazione democratica. Nel XXI° secolo ha avuto luogo una rivoluzione oligarchica, attuata dalle classi dominanti mediante la tecnologia avanzata e la conseguente manipolazione delle masse. Organismi sovranazionali oligarchici, sottratti al consenso democratico hanno esautorato la sovranità degli stati. L’ordine democratico è sempre eterodiretto da poteri oligarchici esterni ad esso.
R. Io non sono “scettico” circa la possibilità di un ordinamento democratico reale: dico che non ne è mai esistito alcuno e non vedo come potrebbe esistere. E il carattere elitario si fa tanto più forte, quanto più cresce la distanza tra gli strumenti tecnologici di punta in mano alla classe dominante e quelli disponibili alla popolazione generale. E oggi il grosso della ricerca scientifico-tecnologica avviene sotto il segreto militare o corporate. Ciò che cambia, sul finire del XXI° secolo, è che la popolazione nazionale diviene sempre meno importante per la produzione del potere e del profitto, dato che il profitto si produce sempre più con mezzi finanziari e non con la fabbricazione e vendita di beni reali a lavoratori-consumatori; e che la fabbricazione può essere delocalizzata liberamente nel mondo. Perciò le classi lavoratrici hanno perso molto potere di contrattazione e di conseguenza larghe fette di reddito, di diritti ai servizi, e di partecipazione alla vita pubblica. In questo senso affermo che la rivoluzione di fine secolo è stata che i popoli sono divenuti superflui.
2) Ma ci si chiede allora: un sistema politico, necessariamente oligarchico, non potrebbe essere retto da elites che, anziché le finalità monopolistiche del neocapitalismo, potrebbero ispirarsi a principi etici e politici comunitari, che mirino alla evoluzione materiale e spirituale dei popoli? I regimi ideologici novecenteschi, che certo istaurarono sistemi totalitari, non rappresentarono un reale modello di “oligarchia popolare”?
R. No: come spiegava già Niccolò Machiavelli, chi competa in politica ponendosi vincoli o fini che lo limitino nei mezzi che usa per prendere e conservare il potere, viene battuto da chi non si pone tali vincoli. Analogo discorso per chi vuole competere sul mercato perseguendo fini diversi dal vincere la competizione di mercato. I regimi ideologici totalitari del ‘900 usarono moti popolari per andare al potere, nel senso in cui Talleyrand diceva che i popoli sono come le medicine che si devono agitare prima dell’uso; poi si costituirono come oligarchie usando miti ideologici di copertura morale ai loro reali interessi e disegni.
3) L’ordinamento oligarchico si impone attraverso lo stato di emergenza. Infatti, evocando la minaccia di un nemico interno, l’imminenza di una guerra, l’incombere di attentati terroristici, l’avvento di catastrofiche crisi economico – finanziarie, si suscitano nei popoli, tramite i media, stati di panico collettivo. Mediante il prodursi di continuo di stati di emergenza, è stato reso possibile il generarsi del consenso delle masse nei confronti di politiche impopolari imposte dalle oligarchie. Occorre “far si che il politicamente impossibile divenga politicamente inevitabile” disse Milton Friedmann, come riportato nel libro. Questo ormai perenne stato di emergenza è diventato quotidianità. Ma quando l’emergenza diventa quotidianità, produce assuefazione da parte dei governati. Questa diffusa insensibilità collettiva alla emergenza perenne, ha ormai smascherato la strategia di terrore – dominio messa in atto dalle oligarchie? Il rifiuto della emergenza artificiale continuata non è una delle cause principali della montante onda populista che sta travolgendo l’Europa?
R. L’oligarchia si forma col formarsi di ogni ordinamento sociale, automaticamente; non viene imposta. Ciò che viene imposto attraverso le emergenze, spontanee e create, è l’accettazione da parte dei governati di poteri e provvedimenti restrittivi e/o afflittivi che altrimenti non sarebbero accettati. La cronicizzazione dell’emergenza mi pare si traduca in pessimismo, minore progettualità, minore fertilità. Ciò che viene comunemente inteso come democrazia, è che la classe dominante, usando la propaganda, gli allarmi, le speranze, porta l’opinione pubblica a credere di capire e ad accettare ciò che la classe dominante vuole nella realizzazione di suoi disegni, che di solito non dichiara. Pensate all’integrazione europea, all’euro, ai suoi meccanismi, ai suoi effetti, per avere un esempio.
4) Con un lungo processo di riforme protrattosi in Italia dal 1981 al 2006, sono stati sottratti alla Banca d’Italia i suoi poteri istituzionali. Con l’avvento dell’euro, alla Banca d’Italia non è più riservata l’emissione monetaria. Inoltre la Banca d’Italia era tenuta ad acquistare i titoli emessi dal Tesoro. Il Tesoro fissava il tasso di sconto. A seguito delle riforme di impronte europea succedutesi, i titoli di stato vengono venduti all’asta nel mercato finanziario a società abilitate. Pertanto, il tasso di interesse dei titoli pubblici è soggetto oggi alle fibrillazioni del mercato finanziario ed il debito pubblico è oggetto della speculazione dei grandi investitori. Allo stato è stato quindi sottratto il controllo del debito pubblico e quindi è stato espropriato della sua sovranità finanziaria. E’ proprio questa subalternità dello stato ai mercati finanziari la causa della esplosione del debito pubblico italiano. La sovranità degli stati è stata devoluta alla BCE e alle banche centrali nazionali, cioè ad organismi finanziari privati elitari non elettivi e sottratti quindi al controllo degli stati. Tale sistema è dunque politicamente sovrano. Ma l’Eurozona non è allora una comunità monetaria in perenne rischio di default, dato che la BCE non ha la funzione di prestatore di ultima istanza come lo erano le banche centrali degli stati dato che la UE non è uno stato? Le recenti dichiarazioni di Draghi circa la facoltà della BCE di sostenere o meno il debito di un singolo stato non ne è la conferma?
R.: La Banca d’Italia nel 1981 fu sottratta al controllo dello Stato in ossequio alla ideologia dell’indipendenza dei banchieri centrali dalla politica – ideologia che ha finito per rendere la politica dipendente dai banchieri centrali, e questi controllati da finanzieri privati, anche attraverso il processo di privatizzazione della Banca d’Italia, completato nel 2016. Dati economico-finanziari, come il fatto che, a far impennare i tassi di interesse, il deficit, l’indebitamento pubblico, e a scatenare il declassamento, è stata la scelta, fatta nel 1981, di rinunciare alla banca centrale nazionale che garantiva l’acquisto per mandare lo Stato a finanziarsi sui mercati finanziari speculativi sovrannazionali. Prima, il debito pubblico era sotto controllo. Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e assets, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale. L’Italia soprattutto ha un forte, fortissimo avanzo primario, maggiore di ogni altro paese comunitario, e il suo deficit, che capitalizzandosi nel corso degli anni ha prodotto il debito pubblico attualmente di circa 2.100 miliardi, è prodotto dagli interessi passivi sul debito pubblico. Travaso che avviene anche col fatto che la BCE ha prestato migliaia di miliardi allo 0,50% e meno alle banche europee, che poi li hanno usati per comprare btp che rendono loro (e costano agli italiani) oltre il 4%. Mentre lo Stato potrebbe finanziarsi direttamente allo 0,25% dalle BCE attraverso l’art. 123 TUE, che consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la BCE ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%; lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno, ma non se ne parla nemmeno: combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica. Ma i governi non lo fanno perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo travaso.
Ad ogni modo, l’operazione del 1981 – il c.d. Divorzio di Bankitalia dal Tesoro e la soppressione dell’autodeterminazione monetaria – risalta, assieme a Maastricht, all’Euro, al Fiscal Compact, come una tappa fondamentale non solo per la destabilizzazione finanziaria permanente dell’Italia e il suo perpetuo sfruttamento (trasferimento a Germania e Francia delle sue risorse finanziarie, industriali, professionali), ma altresì per la sottomissione politica dell’Italia al potere e all’interesse finanziario straniero. È il grande golpe iniziale, cui segue quello della privatizzazione della Banca d’Italia completata dal governo Letta nel 2013, cui ho dedicato il saggio Sbankitalia. Oggi, il rischio di default cronico, strutturato nel sistema monetario europeo, rende rigida la dipendenza dalla BCE e dalle agenzie di rating, investendole del potere politico supremo, esercitabile come window guidance o ricatto o nodo scorsoio.
5) L’economia del modello neocapitalista è fondata e si alimenta del debito. Gli stati per emettere moneta si indebitano nei confronti delle banche centrali. Tutta l’attività economica, sia l’impresa, che per produrre deve indebitarsi, sia i cittadini, che per sostenere certi livelli di consumo debbono indebitarsi. La società del neocapitalismo sussiste alimentandosi di un debito progressivamente in crescita inarrestabile a livello globale. L’economia è condannata alla crescita per sostenere il debito. Questo flusso crescente di risorse che dall’economia reale affluisce alle banche, determina un progressivo trasferimento di ricchezza dalla produzione alla economia finanziaria. Quest’ultima si alimenta dell’economia produttiva, non crea ricchezza, semmai la distrugge. Questo drenaggio incontrollato di risorse, non può alla lunga, con l’accrescersi smisurato di un debito insostenibile, determinare, crisi dopo crisi, il collasso della produzione e con esso quello dell’economia finanziaria e infine il default dello stesso sistema neocapitalista? Non potrebbe essere questa una possibilità molto meno remota di quanto non si creda?
R.: In effetti l’economia reale fatica sempre più a sopravvivere e a sostentare un mondo in cui l’economia finanziaria ha un giro d’affari di oltre 12 volte superiore ad essa, e, per creare profitti, gonfia bolle e provoca crolli come metodo, non come accidente, scaricandone i costi sulla gente e sui bilanci pubblici. Ma come si presenterebbe, concretamente, il default del sistema neocapitalista? Non certo come una risalita delle classi dominate guidate da vessilli socialisti. Probabilmente come uno stato di allarme e necessità diffuso, con le monete che non girano più, i rifornimenti a singhiozzo, e con la gente che si piega a tutto per recuperare qualche grado di sicurezza materiale.
6) La crescita indiscriminata è un elemento strutturale del sistema capitalista. Il consumo indiscriminato delle materie prime non rinnovabili e il deterioramento progressivo dell’ecosistema sono conseguenze imprescindibili dello sviluppo nel sistema neoliberista. La logica immanente della massimizzazione del profitto si rivela incompatibile con la tutela dell’ambiente. La catastrofe ambientale incombente, e unito a essa l’aumento incontrollabile della popolazione mondiale, si rivelano fattori che fanno presagire orizzonti assai oscuri riguardo al futuro del nostro pianeta. Tuttavia, l’alternativa della decrescita si presenta assai problematica e di improbabile attuazione. Anzi, gli elevati tassi di disoccupazione europea la rendono assai impopolare: i popoli sono semmai afflitti da una decrescita forzata. Non si riesce a comprendere come, con la decrescita dello sviluppo possano essere preservati livelli di reddito e di occupazione (oggi peraltro assai compromessi dallo stesso sviluppo della tecnologia avanzata), sufficienti a sostenere la vita dei popoli.
R.: Il mio libro ha come sottotitolo “L’ingegneria sociale della decrescita infelice”. Una classe dirigente apicale, lungimirante, soprastante a quella che persegue il lucro per il lucro, e interessata alla salvaguardia della biosfera (ma non per questo sensibile ai bisogni e alle sofferenze della gente), credo esista e sia all’opera per realizzare la messa in sicurezza del pianeta mediante una decrescita economica e demografica imposta con un’ampia gamma di strumenti, dalla recessione controllata a estesi interventi biologici sulla popolazione, di cui abbiamo già molti esempi. Naturalmente sarà una decrescita infelice, diretta a una condizione che chiamo di demotecnìa, ossia di gestione zootecnica della popolazione, che viene privata di ogni mezzo reale di resistenza e di partecipazione alle decisioni rilevanti. La classe dominante ha già iniziato a dotarsi di strumenti, di leggi, che le consentano di entrare nel corpo della gente, soprattutto dei bambini, e di manipolarlo con sostanze in parte sconosciute e dagli effetti sconosciuti ma sicuramente sistemici e permanenti.
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